il viale Principessa di Piemonte, trasformato in via Giolitti), e anche i
principali edifici pubblici accolsero un forte richiamo alla monarchia sabauda.
Culmine del quartiere fu la grande piazza Vittorio Emanuele
II (comunemente detta piazza Vittorio), la cui costruzione venne iniziata nel
1882. Lunga 316 metri e larga 147, è ancora oggi una delle più grandi della
città; il suo aspetto è simile alla tradizionale piazza anglosassone, con un
grande giardino interno ricco di alberi di alto fusto (al centro del giardino
avrebbe dovuto sorgere una colossale statua del re, che non fu realizzata). Il
legame con i Savoia e con Torino stessa, la città in cui a lungo avevano
regnato, avrebbe dovuto risiedere non solo nell’intitolazione, ma anche nel
particolare aspetto urbanistico: la piazza, infatti, venne quasi interamente
circondata da portici nei quali era prevista l’apertura di eleganti esercizi
commerciali. Il modulo tuttavia non ebbe successo e il porticato rimase una
realtà avulsa dallo stile urbanistico della nuova città.
A strutturare la piazza furono chiamati illustri architetti
e tra questi Gaetano Koch, già autore della sistemazione di piazza Esedra.
Questi alzò due enormi unità abitative nella parte mediana, simmetriche le une
alla altre, e che avrebbero dovuto fungere da edifici di rappresentanza
dell’intero quartiere. I due palazzi si fanno notare per i numerosi ed
imponenti elementi decorativi quali le colonne doriche del portico, gli
ornamenti all’interno dello stesso, i fregi, le costruzioni finali a torretta.
Purtroppo l’edificio del lato orientale è stato compromesso da una serie di
scriteriati restauri che hanno fatto assumere alla facciata ben cinque colori
diversi.
L'area di piazza Vittorio finì per seguire il destino del
quartiere stesso, che, pensato originariamente per accogliere i ceti
medio-borghesi della città, nel giro di un paio di decenni fu occupato da fasce
più popolari. La piazza divenne così sede di un grande mercato all'aperto che
finì per dequalificare l'ambiente e che ne ha costretto il Comune al recente
spostamento più verso est, in un'area coperta. Contemporaneamente si è avuta
una generale risistemazione di tutta la parte centrale, con piattaforme ed
elementi marmorei aggiunti al giardino, e quindi con il ripristino del
marciapiede perimetrale secondo la vecchia impostazione ottocentesca,
caratterizzata da alberi e lampioni. Il risultato è stato felice e ha permesso
finalmente una visione organica di questa grande piazza, non priva di un suo
carattere. È anche in progetto la
ricostruzione dell’edificio crollato sul lato corto meridionale.
Dei grandi edifici pubblici presenti in quest’area
dell’Esquilino, ricordiamo innanzi tutto il Palazzo Brancaccio, all’angolo tra
via Merulana e largo Brancaccio. Fu costruito tra il 1892 e il 1897
dall'architetto Carimini per la famiglia campana dei Brancaccio, orientata a
trasferire i suoi interessi a Roma. È uno dei più sontuosi palazzi umbertini della
città; l'eleganza delle forme è valorizzata dalla colorazione avorio. Nel
cortile posteriore è una bella fontana a cui segue un giardino. Dal 1957
l'edificio, frattanto rilevato dallo stato, ospita l'Istituto Italiano per il
Medio e l'Estremo Oriente e il Museo Nazionale di Arte Orientale. Altri
fabbricati interessanti si trovano nelle vie adiacenti la piazza. L’istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato (1890), sito in via principe Umberto,
testimonia vistosamente l’omaggio dell’architettura dell'epoca al regno,
espresso negli stemmi sabaudi al di sopra dei balconi, nelle scritte, nei fregi
e nel grande e purtroppo semisconosciuto gruppo statuario che sovrasta il lato
principale. L’edificio, già sfavorito dalla posizione e dal poco spazio che
venne lasciato di fronte alla facciata, è rimasto per decenni in un grave stato
di abbandono, ma è ora oggetto di un restauro. A pochi passi è invece il teatro
Ambra Jovinelli, caro alle memorie storiche dell’intrattenimento cittadino. Fu
costruito nel 1909 da un imprenditore del meridione trasferitosi a Roma,
Giuseppe Jovinelli, che lo sostituì a una precedente struttura in legno (il
teatro Umberto) che egli stesso aveva fatto alzare alcuni anni prima.
L'edificio, in stile liberty, impreziosito da stucchi e colonnine in ghisa, fu
per quasi quarant'anni il regno dell'avanspettacolo popolare romano, finchè non
fu trasformato in un cinema. Gravemente danneggiato da un incendio all'inizio
degli anni ottanta, il teatro è stato restaurato in tempi recenti dal Comune;
si è stati però costretti a distruggere tutta la parte interna, giudicata
irrecuperabile, e a creare al suo posto una struttura moderna e personale, ma
poco in sintonia con il carattere dell'edificio antico. Dalla parte opposta di
piazza Vittorio si trova invece la piazza Dante, un lato della quale è
interamente occupato dal gigantesco palazzo delle Casse Postali di Risparmio,
eretto nel 1914 su progetto del Rolando. Malgrado sia uno dei più grandi
edifici della città, ha forme leggere e armoniche; la facciata principale,
purtroppo rovinata dalla sopraelevazione eseguita nel dopoguerra, è dominata da
un mastodontico gruppo statuario al cui centro campeggia una volta di più lo
stemma monarchico.
Ad emergere dalla struttura spesso pesante e poco ariosa del quartiere
(compromessa ulteriormente dal grande traffico veicolare) è infine un insolito
ed elegante edificio sito in piazza Manfredo Fanti, l’Acquario Romano. La sua
costruzione si dovè a Pietro Garganico, un esperto lombardo di piscicoltura,
che aveva proposto alle autorità comunali di costruire un acquario in città, in
omaggio alla concezione positivista e pro-scientista del periodo. Nelle intenzioni
di Garganico, il complesso avrebbe dovuto costituire non solo un centro
didattico e culturale ma anche un polo di aggregazione della nuova zona
dell'Esquilino. Il progetto affidato all'architetto Bernich, che disegnò un
gradevole edificio ispirato all'architettura classica, andò comunque avanti tra
molte difficoltà (Garganico fu presto estromesso dalla gestione, la quale passò
a una società appositamente costituita), e quando finalmente la struttura venne
inaugurata, nel maggio del 1887, appariva già chiaro che gli obiettivi
originari difficilmente sarebbero stati realizzati, soprattutto per quanto
riguardava il complesso stabilimento di piscicoltura che Garganico avrebbe
voluto annettere all'Acquario. Nel 1891 il Comune rilevò la struttura e, dopo
avervi ospitato senza successo alcune iniziative culturali, all'inizio del
secolo destinava l'ormai ex Acquario a teatro (e in seguito anche a sala
cinematografica). Intorno al 1930 l'edificio, la cui manutenzione era difficile
e onerosa, cadde in progressivo abbandono e venne usato come magazzino per gli
impianti scenici del Teatro dell'Opera, mentre una parte interna fu adibita ad
ufficio elettorale. Nel 1984 finalmente il magazzino fu sgomberato e iniziò un
lungo e paziente lavoro di restauro, al termine del quale l'Acquario è tornato
alla sua destinazione di centro di spettacoli e iniziative culturali. Nel
giardino annesso sono alcuni resti delle mura Serviane: un muro di 23 metri in
tufo di Grottaoscura, risalente al IV sec. a.C., e una costruzione della fine
della Repubblica che ad esse si appoggiava. |