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La zona di Piazza Vittorio e l'architettura Umbertina

 

 

L'Esquilino è una delle aree romane maggiormente segnate dalla nascita del nuovo stato unitario, nel 1860. Per secoli questa zona era rimasta ai margini del contesto urbano, venendo perlopiù occupata da grandi ville e tenute gentilizie. Poco dopo aver inglobato l'Urbe nel regno d'Italia, l'amministrazione piemontese decise di trasformarla in un nuovo e vasto quartiere della città, che per aspetto e impostazione avrebbe dovuto risultare molto legato al nuovo corso politico del paese. Non a caso, infatti, diverse vie dell’area furono denominate con i nomi di figure del Risorgimento e della famiglia reale dei Savoia (qualcuna ha cambiato intestazione  nel  dopoguerra, come

 

 

il viale Principessa di Piemonte, trasformato in via Giolitti), e anche i principali edifici pubblici accolsero un forte richiamo alla monarchia sabauda.

Culmine del quartiere fu la grande piazza Vittorio Emanuele II (comunemente detta piazza Vittorio), la cui costruzione venne iniziata nel 1882. Lunga 316 metri e larga 147, è ancora oggi una delle più grandi della città; il suo aspetto è simile alla tradizionale piazza anglosassone, con un grande giardino interno ricco di alberi di alto fusto (al centro del giardino avrebbe dovuto sorgere una colossale statua del re, che non fu realizzata). Il legame con i Savoia e con Torino stessa, la città in cui a lungo avevano regnato, avrebbe dovuto risiedere non solo nell’intitolazione, ma anche nel particolare aspetto urbanistico: la piazza, infatti, venne quasi interamente circondata da portici nei quali era prevista l’apertura di eleganti esercizi commerciali. Il modulo tuttavia non ebbe successo e il porticato rimase una realtà avulsa dallo stile urbanistico della nuova città.

A strutturare la piazza furono chiamati illustri architetti e tra questi Gaetano Koch, già autore della sistemazione di piazza Esedra. Questi alzò due enormi unità abitative nella parte mediana, simmetriche le une alla altre, e che avrebbero dovuto fungere da edifici di rappresentanza dell’intero quartiere. I due palazzi si fanno notare per i numerosi ed imponenti elementi decorativi quali le colonne doriche del portico, gli ornamenti all’interno dello stesso, i fregi, le costruzioni finali a torretta. Purtroppo l’edificio del lato orientale è stato compromesso da una serie di scriteriati restauri che hanno fatto assumere alla facciata ben cinque colori diversi.

L'area di piazza Vittorio finì per seguire il destino del quartiere stesso, che, pensato originariamente per accogliere i ceti medio-borghesi della città, nel giro di un paio di decenni fu occupato da fasce più popolari. La piazza divenne così sede di un grande mercato all'aperto che finì per dequalificare l'ambiente e che ne ha costretto il Comune al recente spostamento più verso est, in un'area coperta. Contemporaneamente si è avuta una generale risistemazione di tutta la parte centrale, con piattaforme ed elementi marmorei aggiunti al giardino, e quindi con il ripristino del marciapiede perimetrale secondo la vecchia impostazione ottocentesca, caratterizzata da alberi e lampioni. Il risultato è stato felice e ha permesso finalmente una visione organica di questa grande piazza, non priva di un suo carattere. È  anche in progetto la ricostruzione dell’edificio crollato sul lato corto meridionale.

Dei grandi edifici pubblici presenti in quest’area dell’Esquilino, ricordiamo innanzi tutto il Palazzo Brancaccio, all’angolo tra via Merulana e largo Brancaccio. Fu costruito tra il 1892 e il 1897 dall'architetto Carimini per la famiglia campana dei Brancaccio, orientata a trasferire i suoi interessi a Roma. È  uno dei più sontuosi palazzi umbertini della città; l'eleganza delle forme è valorizzata dalla colorazione avorio. Nel cortile posteriore è una bella fontana a cui segue un giardino. Dal 1957 l'edificio, frattanto rilevato dallo stato, ospita l'Istituto Italiano per il Medio e l'Estremo Oriente e il Museo Nazionale di Arte Orientale. Altri fabbricati interessanti si trovano nelle vie adiacenti la piazza. L’istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (1890), sito in via principe Umberto, testimonia vistosamente l’omaggio dell’architettura dell'epoca al regno, espresso negli stemmi sabaudi al di sopra dei balconi, nelle scritte, nei fregi e nel grande e purtroppo semisconosciuto gruppo statuario che sovrasta il lato principale. L’edificio, già sfavorito dalla posizione e dal poco spazio che venne lasciato di fronte alla facciata, è rimasto per decenni in un grave stato di abbandono, ma è ora oggetto di un restauro. A pochi passi è invece il teatro Ambra Jovinelli, caro alle memorie storiche dell’intrattenimento cittadino. Fu costruito nel 1909 da un imprenditore del meridione trasferitosi a Roma, Giuseppe Jovinelli, che lo sostituì a una precedente struttura in legno (il teatro Umberto) che egli stesso aveva fatto alzare alcuni anni prima. L'edificio, in stile liberty, impreziosito da stucchi e colonnine in ghisa, fu per quasi quarant'anni il regno dell'avanspettacolo popolare romano, finchè non fu trasformato in un cinema. Gravemente danneggiato da un incendio all'inizio degli anni ottanta, il teatro è stato restaurato in tempi recenti dal Comune; si è stati però costretti a distruggere tutta la parte interna, giudicata irrecuperabile, e a creare al suo posto una struttura moderna e personale, ma poco in sintonia con il carattere dell'edificio antico. Dalla parte opposta di piazza Vittorio si trova invece la piazza Dante, un lato della quale è interamente occupato dal gigantesco palazzo delle Casse Postali di Risparmio, eretto nel 1914 su progetto del Rolando. Malgrado sia uno dei più grandi edifici della città, ha forme leggere e armoniche; la facciata principale, purtroppo rovinata dalla sopraelevazione eseguita nel dopoguerra, è dominata da un mastodontico gruppo statuario al cui centro campeggia una volta di più lo stemma monarchico.

Ad emergere dalla struttura spesso pesante e poco ariosa del quartiere (compromessa ulteriormente dal grande traffico veicolare) è infine un insolito ed elegante edificio sito in piazza Manfredo Fanti, l’Acquario Romano. La sua costruzione si dovè a Pietro Garganico, un esperto lombardo di piscicoltura, che aveva proposto alle autorità comunali di costruire un acquario in città, in omaggio alla concezione positivista e pro-scientista del periodo. Nelle intenzioni di Garganico, il complesso avrebbe dovuto costituire non solo un centro didattico e culturale ma anche un polo di aggregazione della nuova zona dell'Esquilino. Il progetto affidato all'architetto Bernich, che disegnò un gradevole edificio ispirato all'architettura classica, andò comunque avanti tra molte difficoltà (Garganico fu presto estromesso dalla gestione, la quale passò a una società appositamente costituita), e quando finalmente la struttura venne inaugurata, nel maggio del 1887, appariva già chiaro che gli obiettivi originari difficilmente sarebbero stati realizzati, soprattutto per quanto riguardava il complesso stabilimento di piscicoltura che Garganico avrebbe voluto annettere all'Acquario. Nel 1891 il Comune rilevò la struttura e, dopo avervi ospitato senza successo alcune iniziative culturali, all'inizio del secolo destinava l'ormai ex Acquario a teatro (e in seguito anche a sala cinematografica). Intorno al 1930 l'edificio, la cui manutenzione era difficile e onerosa, cadde in progressivo abbandono e venne usato come magazzino per gli impianti scenici del Teatro dell'Opera, mentre una parte interna fu adibita ad ufficio elettorale. Nel 1984 finalmente il magazzino fu sgomberato e iniziò un lungo e paziente lavoro di restauro, al termine del quale l'Acquario è tornato alla sua destinazione di centro di spettacoli e iniziative culturali. Nel giardino annesso sono alcuni resti delle mura Serviane: un muro di 23 metri in tufo di Grottaoscura, risalente al IV sec. a.C., e una costruzione della fine della Repubblica che ad esse si appoggiava.



 

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